mercoledì 12 maggio 2010

Shemà di Primo Levi

SHEMÀ
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e i visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna
senza capelli e senza nome,
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi, tratto da Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 2005
Link utili:
  1. http://www.italialibri.net/opere/sequestoeunuomo.html
  2. http://www.atuttascuola.it/relazioni/relazione_di_levi.htm
  3. http://www.homolaicus.com/letteratura/levi_primo.htm
  4. http://www.liceoantonelli.novara.it/Laboratori/labstoria/Auschwitz/sequesto.htm
  5. http://www.italialibri.net/autori/levip.html
  6. http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=231&biografia=Primo+Levi
  7. http://books.google.it/books?id=99Mteb0bZVcC&pg=PA110&lpg=PA110&dq=analisi+poesia+shema+di+levi&source=bl&ots=cETYRck9zq&sig=BnUNqbCF7_4vUenzrjLcY4F2CCQ&hl=it&ei=RTDhS5L_DNr-sQaktfQd&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=9&ved=0CCgQ6AEwCDgK#v=onepage&q&f=false
  8. http://www.netverbum.it/sequestoeunuomo.htm

Intervista a Primo Levi:

1. http://www.youtube.com/watch?v=os1UgCUGZC0

2. http://www.youtube.com/watch?v=JICT4nU79mQ&feature=related

Shemà interpretata da Dino Becagli:

1. http://www.youtube.com/watch?v=_M3dpL4nj3Q

sabato 1 maggio 2010

Cornelia Paselli, sopravvissuta alla strage di Casaglia

Cornelia Paselli, sopravvissuta alla strage di Casaglia


Noi scappammo di gran corsa a questa chiesa che era la parrocchia di Casaglia. Come arrivammo su alla chiesa ci trovammo cento persone perché tutti erano fuggiti lì perché pensavano nessuno avrebbe fatto del male e nemmeno incendiato la chiesa. Ci sentivamo al sicuro. Difatti andammo dentro e poi arrivò anche il prete e disse: "Diciamo il rosario perché c'è pericolo, preghiamo", ma nessuno riusciva a pregare perché ci era venuta una grande angustia. Aspettammo aspettammo, sempre con una gran paura addosso, poi d'un tratto sentimmo bussare alla porta, erano i tedeschi delle SS.
Cominciarono a urlare: "Tutti fuori, tutti fuori!!" e poi parlarono con il prete: "Accompagni tutta questa gente a Cà Dizzola". Allora io a sentire così pensai: "Appena sono nel bosco, mi nascondo", proprio pensai subito di nascondermi da questo pericolo. Intanto che ci incamminiamo, all'incrocio che va giù a Cerpiano, arrivò un'altra squadra di tedeschi. Appena ci videro fecero degli urli: "Alt Alt Alt!".
Intanto un ufficiale diede l'ordine di abbattere il cancello del cimitero. Allora io, vedendo quella scena, dissi a mia madre:" Mamma, vedi lì c'è la nostra fine" io vidi già la scena, la fine. Poi presero il prete con loro e piazzarono un tedesco di fronte a noi con la mitragliatrice; dovevamo aspettare la risposta perché il prete aveva detto: "I vostri camerati hanno detto di andare a Cà Dizzola". Aspettammo lì quasi una mezz'ora, pioveva e poi arrivò un tedesco a dare l'ordine. Cominciò a dire: "Raus raus!", io chiesi: " Come?" E lui: "Avanti avanti!", in malo modo con arroganza.
Io ero in mezzo al gruppo ed entrando in mezzo al cancello del cimitero, pensavo...pensavo a tante cose, che non riuscivo a fare un pensiero nitido, volevo scappare , volevo buttarmi, l'ultima cosa da potermi salvare, ma non ci riuscivo, sembrava che il cervello scoppiasse, allora spingevo spingevo perché volevo stare in mezzo al gruppo, mi sentivo un po' protetta e invece finii contro il muro proprio sull'esterno nella parte sinistra e lì non riuscivo neanche a fare un passo, poi davanti a me avevo il tedesco che piazzò la mitragliatrice proprio dalla mia parte, di fronte. Vedevo tutto, sentivo tutto, vidi che caricava la mitragliatrice con il nastro di proiettili e io rimanevo lì dritta così e volevo sempre spingere, non ci riuscivo. D'un tratto sentii un colpo talmente forte, talmente forte, non sapevo cos'era. Possibile la mitragliatrice? Ma come è pesante per fare un...poi veniva giù l'intonaco, poi capii che era una bomba a mano, era stata una grande esplosione. Questa bomba mi fece fare un salto, una capriola che mi portò proprio nel centro della gente, del gruppo ma con la testa conficcata a terra e la gambe per aria. E lì cominciai a sentire tutto il sangue addosso degli altri, e dicevo: "Dio! Tutto..."., mi colava sulla faccia, dappertutto e pensai questo è il sangue dei feriti, poi per un attimo ebbi la paura che fosse il mio e lì svenni. Dicevo, pensai, se sono stata colpita e non ho sentito il dolore? Proprio mi feci questa domanda e lì svenni. Mi accorsi che ero svenuta perchè dopo tanto tempo sentivo delle voci lontane, lontane invece era mia madre che mi chiamava: "Cornelia, Cornelia..." e io stavo zitta dalla paura e lei insisteva: "Sei ancora viva?", "Sì mamma, stai zitta per carità". Tutti piangevano, una quando sentì la mia voce, mi disse, vienmi ad aiutare ti prego, mi manca la mano... La mamma disse: "Non sto più in piedi, mi hanno mitragliato tutte le gambe", non stava più in piedi. E poi disse: "Gigi e la Maria sono già andati...". Invece mi sorella, mia sorella urlava, aveva 15 anni diceva: "La mia testa, la mia testa!", aveva avuto una esplosione vicina, vicina che aveva ucciso un donna e lei era convinta di avere la testa spaccata.
Io riuscivo a camminare ma mi ci è voluto a tirarmi fuori perché avevo tutti i corpi addosso, ma dovevo aiutare mia madre. Lei non si lamentava e io le dicevo: "Adesso mi tiro su e ti vengo ad aiutare". Sono stata lì dalle 9 alle 4 del pomeriggio, poi quando ho visto che i tedeschi se ne erano andati, c'era un bambino in piedi che guardava e diceva: "Non c'è nessuno, non ci sono più, scappate"! Allora per prima scappò la Lucia Sabbioni, poi altre 2 o 3. La Lucia era molto ferita e la portavano in spalla.
Mi alzai su, trascinai mia madre vicino al muretto, le feci un laccio nella coscia perché sanguinava tutta, e la adagiai vicino al muretto. "Mamma adesso corro a Cerpiano che vado a cercare aiuto, e ti portiamo a Bologna al Rizzoli, là fanno le gambe nuove", cercavo di consolarla e lei poverina era paziente. Lì rimase mia sorella e mia cugina. Appena fuori, era tutto scoperto e si vedeva Cerpiano benissimo, allora, anche l'oratorio.
Sul gradino dell'oratorio c'era un tedesco di guardia e da dentro si sentivano delle urla, delle grida... e io capii che anche là era successo uguale. Quando vidi così cominciai a scappare nel bosco e finii a Gardelletta, sempre per cercare qualcuno, non c'era un'anima.
Un tedesco di guardia non mi vide. Andai verso la ferrovia, passai dalla nostra casa ma non ebbi il coraggio di andare dentro, la guardai così e mi dissi: "Cosa ci vado a fare?, non c'è nessuno". Allora pensai di andare su dai contadini, perché noi avevamo una pecorina, mio padre nello sfollare l'aveva lasciata lì da loro.
Quando arrivai su, era vicino a casa nostra, trovai i contadini morti nell'aia, poi mi guardai attorno, vidi la pecorina sgozzata, tutta piena di sangue e lì rimasi talmente male, avvilita, mortificata che cominciai a piangere, piangere perché fino ad allora non ero riuscita a piangere. Vedendo la pecorina, capii che era finito tutto. Andai giù singhiozzando, per me era già morto tutto. Arrivai a Casa veneziani ed erano tutti morti anche lì "
Link utili:

venerdì 9 aprile 2010

La cappella sistina, ascoltando Tom Waits

LA CAPPELLA SISTINA, ASCOLTANDO TOM WAITS

Alessandro Baricco



Il sottotitolo dell’opera da cui è tratto il brano (Barnum) è “Cronache dal Grande Show”.
Barnum raccoglie articoli e recensioni che l’autore ha scritto per una rubrica del quotidiano
“La Stampa”.


La Cappella Sistina, prima di vederla, la senti. Tipo caramella balsamica: la senti nel naso e nelle orecchie.
Ci arrivi da un cunicolo che gira e sale e scende, un cunicolo stretto e basso, con le pareti color ospedale. Tutti in fila, strascicando i piedi. Non ci sono quasi finestre, c’è poca aria. Inesorabile odore di umanità, lascito generoso di centinaia di ascelle e calzini internazionali in pio pellegrinaggio o colto vagabondare. La Cappella Sistina prima di vederla, la senti: odore di palestra, di classe del liceo alla quinta ora, di pullman d’estate. Non che uno si aspetti cori di arcangeli, all’ingresso, ma ti ci devono proprio fare entrare da una specie di scarpiera a forma di corridoio? Quando il naso si abitua, scattano le orecchie. Entri da una porticina da nulla, e prima di vedere alcunché, senti il boato uniforme e continuo di centinaia di persone stipate e sgomitanti che urlano a bassa voce. L’acustica della Cappella restituisce un biblico e febbricitante frastuono. Strana impressione. Non ho grandi esperienze nel settore ma ti vengono subito in mente quei posti tipo lager, o stadio cileno, quelle cose lì, dove una fetta di umanità fa l’anticamera per qualche odioso orrore. Quando d’improvviso si accendono dei lugubri altoparlanti e una voce grida “Attenzione!” quello che ti aspetti è che poi dica: “Le donne si portino sulla sinistra, gli uomini sulla destra”, cose così. Per fortuna, più mitemente, dice di far silenzio e di non scattare fotografie. Il frastuono cala immediatamente di qualche decibel. Sgomitando mi guadagno un metro quadrato vagamente libero. Dato che contro quel casino bisogna pur fare qualcosa mi infilo le cuffiette e attacco il walkman. Baglioni. No. Annie Lennox. No. Paolo Conte. No. Cerco Bruckner, il mite organista che scriveva musica per Dio: dimenticato. Non rimane che Tom Waits. Vada per Tom Waits. Alzo il volume. Alzo gli occhi. L’hanno risciacquata, la Sistina. Ci hanno restituito il technicolor. Hanno tolto qualche pudica braghetta e pulito le crepe. Sembra nuova di pacca. Il Giudizio Finale me lo ricordavo ingoiato da una fuliggine nerastra tipo polmone di fumatore. Ci vedevi poco, in tutto quel nero, e forse il fascino stava anche lì: adesso va di mezzetinte che è un piacere, fa un po’ Laura Ashley, ma almeno vedi, e scopri un sacco di cose, ed è come quando al cinema metti gli occhiali. La parte che a me è sempre piaciuta di più è quella a mezza altezza, dove i corpi salvati e risorti salgono al cielo e quelli condannati vengono ricacciati giù, e tutti galleggiano magicamente nell’aria proprio come gli astronauti della Nasa, quando li facevano vedere alla tivù, in quelle navicelle senza forza di gravità, ce n’era sempre uno che faceva lo scemo e lasciava andare il panino, e il panino cominciava a svolacchiare in giro, fino a che qualcuno lo riacciuffava, e tutti ridevano, e doveva essere un modo per dimenticarsi che stavano come granelli di sabbia spediti a ronzare nell’infinito, soli come cani. Dev’essere colpa di TomWaits: uno dovrebbe pensare altre cose, messo lì a tu per tu con Michelangelo, e con il Giudizio Finale. Ho abbassato Tom Waits, e ho pensato altre cose. Ho pensato quanto micidiale è quella Cappella, a ben pensarci, e senza farsi troppo sviare dalle tinte pastello. Un monumento ossessivo a un totemico e rovinoso incubo: il peccato. Non si esce innocenti, da lì. Centinaia di metri quadrati di immagini ti martellano come irresistibili spot rifilandoti in offerta speciale la più subdola delle merci: il complesso di colpa. Svicoli dal Giudizio Finale e finisci da Adamo ed Eva, la mela, il serpente, il castigo. Cerchi rifugio un po’ più in là e caschi nel Diluvio Universale, altro castigo, spettacolare, una pulizia etnica in grande stile. Perfino quel gesto meraviglioso, Dio e l’uomo, le due dita che si sfiorano, icona impareggiabile, stampata lassù sul soffitto, e per sempre in tutti gli occhi cui è accaduto di vederla, perfino lei ha qualcosa di inquietante, sembra già un castigo anche quello, un castigo preventivo, c’è qualcosa in quel Dio che ci impedisce di vederlo semplicemente buono e padre: ha qualcosa dell’animale in agguato, ha dentro un’inquietudine che lo scompiglia. Non è un Dio felice, quello. È un meccanismo micidiale, a ben pensarci: stai lì con la faccia all’insù, a farti stregare da tutta quella bellezza, oltretutto lavata col Dixan,2 e intanto, senza che te ne accorgi, ti si sta stampando in qualche recesso dell’anima un invisibile strato di senso di colpa, che si sovrappone a quelli che già ti hanno spalmato in anni di cosiddetta educazione, il tutto a edificare, millimetro per millimetro, la catastrofe di una coscienza perennemente in debito, e cronicamente colpevole. Forse è solo perché non c’era il sole, e dai finestroni entrava il grigio di una giornata da schifo. Forse è per colpa di TomWaits. Comunque dalla Sistina sono fuggito con due semplici idee in testa. Prima: la prossima volta che ci vado ci vado alle otto del mattino, perché quella folla è un orrore. Seconda: la prossima volta che nasco ateo, lo faccio in un paese dove quelli che credono in Dio credono in un Dio felice.



ALESSANDRO BARICCO


Alessandro Baricco (Torino, 25 gennaio 1958) è uno scrittore, critico musicale e regista italiano, fra i più noti esponenti della narrativa italiana contemporanea. Dopo la laurea in filosofia, pubblica alcuni saggi di critica musicale (la passione per la musica classica gli è stata trasmessa dai genitori, e la sua cultura in questo campo è frutto del suo studio personale): Il genio in fuga (1988) su Rossini, e L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin (1992), sul rapporto tra musica e modernità.Collabora come critico musicale per La Repubblica e sulla pagina culturale per La Stampa. Baricco lavora anche in televisione, nel 1993 come conduttore di L'amore è un dardo, trasmissione di Raitre dedicata alla lirica e nel 1994 come ideatore e conduttore di un programma dedicato alla letteratura dal titolo Pickwick, del leggere e dello scrivere. Nel 1998 cura il programma Totem, delle lezioni sull'amore per la lettura a cui seguirà una tournée nelle piazze italiane. Durante gli anni novanta Baricco si afferma pubblicando i romanzi: Castelli di rabbia (1991), Oceano mare (1993), Seta (1996) che non ha raggiunto il pieno consenso della critica, City (1999), Senza sangue (2002). Nel 1994 esce Novecento. Un monologo, da cui è stato tratto un lavoro teatrale e un film, La leggenda del pianista sull'oceano di Giuseppe Tornatore. Per Feltrinelli pubblica due raccolte degli articoli scritti per la Stampa e Repubblica (Barnum, del 1995, e Barnum 2, del 1998). Scrive anche, nel 1996, un testo teatrale: Davila Roa, andato in scena al Teatro Argentina di Roma e mai pubblicato. Nel 2002 pubblica Next (Feltrinelli), breve saggio sulla globalizzazione. A febbraio 2003 esce Partita spagnola per Dino Audino Editore. Nel 2004 pubblica Omero, Iliade (Feltrinelli) un lavoro sulla traduzione di Maria Grazia Ciani dell'Iliade da cui Baricco trae un reading teatrale.Nel 2005 passa dalla Rizzoli alla casa editrice Fandango di Domenico Procacci, con cui pubblica il romanzo Questa storia. Dopo l'esperienza televisiva ha fondato, insieme ad altri soci, la Scuola Holden a Torino, dove si studiano tecniche della narrazione con uno sguardo multidisciplinare. Nel periodo tra maggio e ottobre del 2006 ha scritto su La Repubblica un "romanzo - saggio a puntate ", I barbari, su quella che lui definisce la 'mutazione' in atto nella civiltà postmoderna. I lettori possono esprimere un commento sul sito internet del giornale. Il saggio è pubblicato con qualche aggiunta nel 2006.
Nel 2007 esce la trasposizione del romanzo Seta. Il film è prodotto da Domenico Procacci della Fandango e il regista è il canadese François Girard. Baricco, al contrario del film di Tornatore, questa volta ha curato personalmente la sceneggiatura. Nell'autunno dello stesso anno, presso l'Auditorium Parco della Musica, va in scena con un nuovo spettacolo, tratto da Moby Dick di Hermann Melville, accompagnato da musiche originali di Nicola Tescari eseguite dalla Roma Tre Orchestra.

BARNUM
Cronache dal grande show


Pubblicato da: Feltrinelliprima edizione: 1995
Barnum è stato il più grande impresario circense della seconda metà dell'Ottocento. La rubrica di Baricco, "Barnum. Lo spettacolo della settimana", che appare su "La Stampa" ogni mercoledì, si trasforma in volume. L'autore avvicina gli eventi culturali, politici, sociali, mondani che sono o che fanno spettacolo. Il volume è accompagnato da una prefazione e da un indice dettagliato e quanto meno insolito: una sorta di sommario dove insieme alle voci di Mike Bongiorno, Pier Paolo Pasolini e Giacomo Puccini ne compaiono altre ispirate alla logicacircense di quanto passa sulla grande pista Barnum.
Link d'interesse:

domenica 14 marzo 2010

ANNA E MARCO

ANNA E MARCO
Lucio Dalla
Anna come sono tante
Anna permalosa
Anna bello sguardo
sguardo che ogni giorno perde qualcosa
Se chiude gli occhi lei lo sa
stella di periferia
Anna con le amiche
Anna che vorrebbe andar via
Marco grosse scarpe e poca carne
Marco cuore in allarme
con sua madre e una sorella
poca vita, sempre quella
Se chiude gli occhi lui lo sa
lupo di periferia
Marco col branco
Marco che vorrebbe andar via
E la luna è una palla
ed il cielo è un biliardo
quante stelle nei flipper
sono più di un miliardo
Marco è dentro a un bar
non sa cosa farà
poi c'è qualcuno che trova
una moto
si può andare in città
Anna bello sguardo non perde
un ballo
Marco che a ballare sembra
un cavallo
in un locale che è uno schifo
poca gente che li guarda
c'è una checca che fa il tifo
Ma dimmi tu dove sarà
dov'è la strada per le stelle
mentre ballano si guardano
e si scambiano la pelle
E cominciano a volare
con tre salti sono fuori
dal locale
con un 'aria da commedia
americana
sta finendo anche questa
settimana
Ma l'America è lontana
dall'altra parte della luna
che li guarda e anche se ride
a vederla mette quasi paura
E la luna in silenzio ora
si avvicina
con un mucchio di stelle cade
per strada
luna che cammina
luna di città
poi passa un cane
che sente qualcosa
li guarda, abbaia e se ne va
Anna avrebbe voluto morire
Marco voleva andarsene lontano
Qualcuno li ha visti tornare
tenendosi per mano
Lucio Dalla, 1979

Sito web di Lucio Dalla: http://www.luciodalla.it/

COMMENTO DI ANNA E MARCO

La canzone studiata in classe s’intitola Anna e Marco ed è tratta dall’album Lucio Dalla del 1979 che ha raggiunto il milione di copie vendute.
Lucio Dalla si è formato nelle orchestrine jazz degli anni 60, ed è divenuto nel decennio successivo uno dei cantautori(1) italiani di riferimento, sviluppando un universo poetico capace di spaziare dalla canzone politica a struggenti ballate.
Il brano è composto da sette strofe che corrispondono a sette passaggi narrativi. Si potrebbe dare ad ogni strofa un breve titolo riassuntivo, per esempio:

  1. Descrizione/Presentazione di Anna
  2. Descrizione/Presentazione di Marco
  3. Marco ha il problema di organizzare la propria serata
  4. L’incontro nella sala da ballo
  5. Fuori dal locale
  6. Marco e Anna soli con la luna, le stelle e un cane randaggio
  7. Il ritorno alla dura realtà di periferia

PRIMA STROFA: Presentazione di Anna. La prima strofa ci offre un ritratto di Anna, una giovane ragazza che abita in periferia (difatti, Lucio Dalla la soprannomina “Stella di periferia”). Di lei sappiamo che, nonostante la sua infelicità (“Sguardo che ogni giorno perde qualcosa”) ha piacere a stare con le amiche (“Anna con le amiche”), ma Lucio Dalla calca la mano su un suo difetto, il fatto che sia permalosa. Anna è un nome abbastanza diffuso in Italia ma capiamo fin dall’inizio della canzone che si tratta di una ragazza particolare e unica (“Anna come sono tante” = nel senso che Anna non resterà una fra queste tante ragazze).

SECONDA STROFA: Presentazione di Marco. Costruzione anaforica della strofa (= è costruita sullo stesso modello e questo non è un caso: possiamo dedurre dalla presentazione dei personaggi che i loro destini, le loro vite, si uniranno per non separarsi mai più). Marco ha dei punti in comune, delle affinità con Anna ma anche delle linee di divergenza. Anche Marco ha un soprannome “Marco grosse scarpe”, (perché per via della sua magrezza appaiono in modo ancora più evidente i suoi lunghi piedi). Anche Marco è un insoddisfatto della vita, non riesce ad accontentarsi di una vita monotona con la sorella e la madre. Ha piacere stando in compagnia ma questo non gli basta, il suo malessere e la sua sensibilità sentimentali sono evidenti (“cuore in allarme”). Anna e Marco sono entrambi animati da un desiderio di fuga e felicità. Vogliono uscire da una condizione in cui tutti e due sono scontenti.
= VOGLIONO ANDARSENE

TERZA STROFA: Marco si ritrova da solo in un bar di periferia, un posto squallido, comune, dove Lucio Dalla rappresenta solo un biliardo e un flipper. Il bar non ha niente di particolare ma il lirismo della canzone (l’immagine della luna, delle stelle, della natura, l’assimilazione con l’universo del bar) ce lo fa sembrare speciale. Difatti, è l’ultimo posto dove Marco starà solo. Nella strofa successiva si uniranno per sempre i destini dei personaggi attraverso la scelta narrativa operata dall’autore.

QUARTA STROFA: Marco è arrivato in un locale di città grazie a una moto trovata da non si sa chi (per raggiungere il centro ci vogliono i mezzi). Anna, amante del ballo, sta in mezzo alla pista e Marco si unisce a lei nonostante il fatto che sia un pessimo ballerino (notiamo il tono scherzoso di Dalla che ci dice che “balla come un cavallo”). In questa strofa si sdrammatizza il destino dei personaggi attraverso la comicità (immagine del cavallo + della checca che incoraggia la futura relazione facendo il “tifo”). Avviene il primo contatto fisico tra Anna e Marco (si toccano e si “scambiano la pelle” per la prima volta) che vogliono trovare la felicità (“La strada per le stelle”)

PER LA PRIMA VOLTA NON C’È NESSUNA ROTTURA DI RITMO MUSICALE: si passa direttamente alla strofa successiva senza pausa e i personaggi “cominciano a volare” spinti dalla forza cha dà loro l’amore.

QUINTA STROFA: Dopo qualche salto (= forza dell’amore che li spinge al di fuori di un ambiente squallido) Marco e Anna si ritrovano fuori ad osservare la luna (personificazione della luna ridente. Luna= Amore, l’amore gli sorride). La luna così come l’America sembrano lontane ma vedremo che non lo sono poi così tanto. In questo senso la luna e l’America possono raffigurare l’amore = un qualcosa che pareva irraggiungibile, lontano, ma che poi in realtà non lo è grazie all’incontro tra i due personaggi che decideranno di unire le loro esistenze.

SESTA STROFA: La luna, qui l’amore, si avvicina. La luna cade per strada insieme a tutte le stelle ( = l’amore non è più una cosa temuta, desiderata o lontana). Qui Dalla mantiene un tono scherzoso con l’immagine del cane che vede la luna e che abbaia prima di andarsene.

SETTIMA STROFA: Anna e Marco se ne sono andati, non si sa quanto tempo. La canzone si conclude con il ritorno della coppia in periferia. Lungi da loro sono l’incertezza e l’insoddisfazione: difatti tornano insieme uniti da uno stesso destino (“qualcuno li ha visti tornare tenendosi per mano”)

IMPORTANTE: insistere sulla comicità e sul lirismo del testo (NB. Si può specificare che Lucio Dalla è omosessuale e che riesce a mostrare una certa autoderisione con l’immagine della “checca” della terza strofa).

(1) Il cantautore è un artista che scrive e compone le sue canzoni. Un cantante (oggigiorno che ne sono sempre di più), invece, si affida a una terza persona per scrivere i suoi testi.

SOSTIENE PEREIRA

SOSTIENE PEREIRA
Antonio Tabucchi
Testo selezionato Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira, Feltrinelli, Milano 2005, pp. 7-8
Lettura testo "Apparizione di Pereira" da Antonio Tabucchi, Autobiografie altrui, Feltrinelli, Milano 2003, pp.45-48
Visione scene film, Sostiene Pereira, regia di Roberto Faenza, co-produzione Italia-Francia-Portogallo, 1995
I – INTRODUZIONE
1. Inquadramento
È un brano tratto da un romanzo di Antonio Tabucchi dal titolo Sostiene Pereira, pubblicato per la prima volta nel 1994. Sostiene Pereira è il romanzo che ha imposto il talento narrativo di Tabucchi al grande pubblico, conquistando anche i più prestigiosi riconoscimenti della critica. Tradotto in ben 22 lingue, vincitore del Premio Campiello, del Premio Viareggio, del Prix Européen "Jean Monnet", il testo rappresenta a pieno titolo uno degli esempi più originali, innovativi e meritevoli della letteratura italiana contemporanea.
Il nostro brano è stato tratto dall’edizione del 2005, Feltrinelli Editore, Milano pp.7-8.

II – IL ROMANZO

1. Contenuto
Pereira è un anziano giornalista portoghese che, dopo anni trascorsi a scrivere di cronaca, passa a curare con grande passione la rubrica letteraria del “Lisboa”. Pereira vive una vita monotona, ma non noiosa, diviso tra il giornale, una dieta fatta di troppe limonate, lunghe chiacchierate con la fotografia incorniciata della moglie deceduta, ed il pensiero ossessivo della morte. Poco importa che il Portogallo, il paese in cui vive, è nel pieno della dittatura di Salazar, che applica una severa restrizione della libertà, soprattutto per la stampa. Pereira continua la sua vita, occupandosi soltanto di letteratura, per altro francese, e sembra non avere alcun interesse per le sorti del mondo che ha inconsciamente tagliato fuori dalla sua vita. Ma l’attualità dei fatti entra lentamente nella quotidianità di Pereira quando, dopo aver letto un articolo tratto dalla testi di laurea del giovane Monteiro Rossi, egli lo chiama per offrirgli un periodo di prova come suo aiutante. Il giovane dovrà preparare dei “coccodrilli”, articoli giornalistici in cui si decanta la vita di personaggi famosi, pronti ad essere pubblicato nel caso di una loro imminente dipartita. Un incarico semplice, una sorta di moderno tirocinio per insegnare il mestiere al giovane Rossi. Il ragazzo, però, è uno spirito irrequieto e i suoi articoli sono troppo accesi per i gusti di Pereira, soprattutto quello in cui Rossi, contravvenendo alle indicazioni, scrive il coccodrilli di Gabriele D’Annunzio, criticandone aspramente la sua adesione al fascismo. Trascinato dalla preoccupazione per il giovane Rossi, che Pereira vede come il figlio che non ha mai avuto, il protagonista del libro si avvicina pericolosamente all’azione rivoluzionaria. Suo malgrado, Pereira è costretto a fare i conti con una realtà che aveva tenuto fuori dalla sua vita per troppo tempo, rendendosi conto di come la dittatura fosse morbosamente presente anche nelle sue decisioni. Sarà l’incontro con il dottor Cardoso (e con la sua teoria della confederazione delle anime) a fargli prendere coscienza della necessità di agire contro la dittatura. Dopo aver assistito alla morte violenta di Monteiro Rossi per mano della Polizia Segreta di Stato, Pereira decide di pubblicare sul giornale un feroce articolo di critica nei confronti del regime. Dopo, temendo le inevitabili conseguenze, fugge all’estero dove continua la sua vita da intellettuale.
2. Ambienti
La storia si svolge in Portogallo, quasi prevalentemente a Lisbona, fatta eccezione per alcuni piccoli viaggi del dott. Pereira, come quando si reca per esempio alla clinica di talassoterapia nei pressi di Coimbra. Gli ambienti in cui si muove il nostro personaggio sono descritti in modo abbastanza preciso ma non dettagliatissimo. Sappiamo per esempio che il dott. Pereira lavora come responsabile della pagina cultura del Lisboa in un piccolo studio mal arredato e desolato, con un vecchio ventilatore che dovrebbe in teoria rinfrescare le sue giornate e con la sola compagnia della foto della moglie morta che l’accompagna dovunque e alla quale parla quotidionamente, raccontadole tutto quello che gli succede.
3. Contesto Storico
La storia si svolge nell’agosto del 1938, un caldo e torrido agosto. Durante tale periodo il Portogallo viveva sotto il regime salazarista, una dittatura di tipo clerico-fascista che rimase al potere durante più di 50 anni. Si tratta di una dittatura molto dura e repressiva che ha soffocato qualsiasi tipo di libertà di espressione, controllando in modo particolare la stampa. Il regime si avvaleva del supporto della Polizia Politica Segreta (creata nel 1933, la PIDE), che sopravvisse alla morte dello stesso Salazar. Durante l’anno in cui si svolge il romanzo in questione, in Spagna si vivevano gli orrorri della guerra civile, che si concluse con la vittoria delle truppe franchiste.

4. Personaggi
· Pereira
Secondo quanto ci riferisce lo stesso autore in una nota a fine testo, il dottor Pereira gli apparve per la prima volta in una sera di settembre del 1992. A quell’epoca Pereira era ancora qualcosa di vago, non ben definito, alquanto sfuggente: si trattava solo “di un personaggio in cerca d’autore”, un personaggio che aveva voglia di essere il protagonista di un libro. Tabucchi l’accolse con affetto e poco a poco il personaggio andò formandosi: si trattava di un uomo sulla sessantina, vedovo, cardiopatico e infelice. A questo personaggio Tabucchi diede il nome di Pereira e questo per due motivi: “in portoghese Pereira significa albero del pero, e come tutti i nomi degli alberi da frutto è un cognome di origine ebraica, cosi come in Italia lo sono i nomi di città. Con questo volli rendere omaggio a un popolo che ha lasciato una grande traccia nella civiltà portoghese e che ha subito le grandi ingiustizie della storia. Ma c’era anche un altro motivo, questo di origine letteraria, che mi spingeva verso questo nome: un piccolo intermezzo di Eliot intitolato What about Pereira? In cui due amiche evocano, nel loro dialogo, un misterioso portoghese chiamato Pereira, del quale non si saprà mai niente”
Durante la lettura del libro si delinea poco a poco il personaggio di Pereira e di lui riusciamo ad avere sempre più informazioni, anche se molto altri aspetti ci restano sconosciuti, come per esempio: qual è il nome di battesimo del dott. Pereira? Fisicamente, sappiamo che si tratta di un uomo grasso e con problemi di salute. Pereira è cardiopatico e dovrebbe cercare di seguire una dieta, che in realtà non segue. Si tratta di un uomo molto abitudinario, tanto nel tram tram quotidiano come nelle sua abitudini alimentari: mangia sempre omelette alle erbe aromatiche e beve regolarmente ed unicamente limonate ghiacciate.
Il dott. Pereira è un giornalista che si occupa della pagina cultura del gionale Lisboa. È un intelletuale, appossionato di letteratura francese. Per la pagina del suo giornale si occupa di tradurre racconti di scrittori francesi, prediliggendo in modo particolari gli scrittori cattolici. In effetti Pereira è un fervente cattolico, ossessionato dall’idea della morte. Tale ossessione è ricorrente nel libro ed è probabilmente dovuta alla morte prematura della moglie per tisi. Pereira s’interroga spesso sul senso della vita e della morte per finire poi in un grande paradosso: pur essendo infatti un fervente cattolico, Pereira non crede nella rincarnazione della carne, ma solo dell’anima.
Il dott. Pereira è un uomo senza grandi ambizioni, noncurante del contesto in cui vive. È essenzialmente apolitico e privo di grandi interessi che non siano la letteratura. Durante lo svolgersi del racconto, però, in base anche agli incontri fatti, il dott. Pereira subisce una metamorfosi che lo porta ad essere un uomo nuovo. È la nascita di un’anima!.

· Monteiro Rossi
È un giovane ragazzo di origine italiana che si è appena laureato in Filosofia con una tesi sul tema della morte. Grazie alla tesi conosce Pereira che gli propone di lavorare per lui. Monteiro Rossi è un ragazzo magro e ha i capelli con un ciuffo ribelle, proprio come l’aveva Pereira da giovane. È fidanzato con Marta. Si tratta di un ragazzo allegro, vivace, ma alquanto sfacciato, soprattutto quando chiede prestiti di denaro e aiuti di vario genere a Pereira.

· Marta
È la fidanzata di Monteiro Rossi. È un’idealista, crede negli ideali della rivoluzione francese e nei suoi principi. Influenza molto Monteiro Rossi con le sue idee.

5. Forma
La prima cosa che balza agli occhi è senz’ombra di dubbio la scelta stilistica dell’autore di ripetere incessantemente la frase “Sostiene Pereira” all’interno del testo, da cui poi prende il titolo il romanzo. Tale ripetizione “ossessiva” suggerisce immediatamente l’idea di una confessione, come se il narratore stesse scrivendo sotto dettatura del personaggio. Siamo, infatti, difronte a un narratore esterno, ma sicuramente non onniscente. Il narratore si limita a racconta i fatti così come gli vengono raccontati dal pratagonista che “sostiene” di aver vissuto tali avvenimenti.
Il testo presenta dei momenti descrttivi che riguardano sia i personaggi che i luoghi. Il linguaggio usato da Tabucchi è piuttosto semplice, caratterizzato da proposizioni principalmente paratattiche che appaiono ripetutamente ostacolate dal ricorrente sostiene pereira, al quale si deve comunque riconoscere un certo effetto stilistico che fa subito nascere simpatia verso il personaggio.

III – IL BRANO SELEZIONATO
1. Contenuto
Si tratta dell’incipit del romanzo nel quale entriamo subito in contatto con il nostro personaggio e con il suo contesto. Già dalle prime righe infatti sappiamo di essere a Lisbona, in un giorno d’estate torrido ma con un cielo di un azzuro sfavillante, e poco a poco facciamo la conoscenza del dott. Pereira. Leggiamo infatti subito che si tratta di un giornalista che si occupa di cultura, più precisamente della pagina culturale del Lisboa (rr. 3-5). Proseguiamo ottenendo maggior informazioni sul personaggio:
1) Suo padre lavorava in un’agenzia di pompe funebri (rr.13-15)
2) Era vedevo, sua moglie era morta di tisi qualche anno fa (rr.15-16)
3) Era grasso, soffriva di cuore e aveva la pressione alta (rr.16-17)
Probabilmente queste prime informazioni ci permettono di capire e giustifcare la sua ossessione per la morte, della quale si parla nel brano in questione. Procedendo nel testo, scopriamo che Pereira è cattolico, ma che non riusciva a credere nella resurrezione della carne. Ossessionato dall’idea della morte, in quel giorno torrido d’estate, Pereira si mette a leggere distrattamente una rivista sulla quale trova un articolo di giornale di un tale Monterio Rossi da poco laureato in filosofia a pieni voti con una tesi sulla morte. Pereira non sa bene perché, ma comincia a ricopiarne il testo, non tutto ma solo alcune righe, più precisamente le seguenti: “il rapporto che caratterizza in modo più profondo e generale il senso del nostro essere è quello della vita con la morte, perché la limitazione della nostra esistenza mediante la morte è decisiva per la comprensione e la valutazione della vita”. Su tale riflessione si chiude il brano in questione, lasciando quindi aperto un tema di estrema delicatezza, ossia l’accettazione della morte per la comprensione della vita.
2. Forma
Dal punto di vista della forma, il nostro brano si caratterizza, come del resto l’intero romanzo, per il frequente uso del sintagma sostiene pereira, con il quale inizia il libro. Più precisamente tale sintagma (e anche solo il verbo sostenere) appare nelle prime due pagine iniziali (corrispondenti al nostro brano) ben 6 volte. Così, fin dall’inzio, il lettore ha la sensazione di trovarsi difronte a un narratore che racconta la storia del personaggio protagonista, limitandosi a riferirne i fatti. Tale idea è confermata dalle ricorrenti supposizioni avanzate dall’autore. Per esempio all’inizio del brano (rr.12-13), difronte all’impossibilità del dott. Pereira di spiegare il suo repentino bisogno di riflettere sulla morte (Perché? Questo a Pereira è impossibile dirlo), il narratore avanza delle possibili supposizioni contrassegnate dall’uso del futuro per esprimere incertezza (sarà perché suo padre... sarà perché sua moglie..., sarà perché lui era grasso..., rr. 13-16). Più avanti ci ritroviamo difronte alla stessa situazione. Pereira non sa dire perché si mise a ricopiare l’articolo di Monteiro Rossi, e quindi il narratore avanza delle ipotesi. Questa volta l’incertezza è sottolineata dall’uso del forse che precede tutte le ipotesi (forse perché quella rivista d’avanguardia...., forse perché quel giorno...., forse perché in quel momento..., forse per poter buttare...rr.45-52).

III – L’AUTORE
1. Antonio Tabucchi
Antonio Tabucchi è nato a Pisa il 24 settembre del 1943 ed è il maggiore esperto e traduttore italiano delle opere dello scrittore portoghese Fernando Pessoa. Tabucchi è uno degli scrittori italiani apprezzati anche all’estero, come testimonia il premio Prix Médicis vinto in Francia dal suo romanzo “Notturno indiano” e i riconoscimenti di “Ordine Do Infante Dom Herique”, assegnatogli dalla Repubblica portoghese, e quello di “Chevalier des Arts et des Lettres” dal Governo francese.E’ uno scrittore molto prolifico, e diverse sue opere sono diventati film, come “Il filo dell’orizzonte”, del 1986 e portato al cinema dal regista portoghese Fernando Lopez.Il suo romanzo più celebre è proprio “Sostiene Pereira”, vincitore dei premi Jean Monnet per la Letteratura Europea, Super Campiello e Scanno. Inoltre, nel 1995, Roberto Faenza lo trasforma in film, affidando il ruolo del protagonista, a uno dei più grandi attori italiani di tutti i tempi: Marcello Mastroianni.

IV – AMPLIAMENTI
1. Il film
Si tratta di una co-produzione Italia-Francia-Portogallo per la regia di Roberto Faenza. È un film del 1995 che vanta la presenza di un cast di eccezione, con personaggi quali Marcello Mastroianni, Nicoletta Braschi, Stefano Dionisi etc. Il film è abbastanza fedele al libro. Lo stesso Tabucchi ne ha voluto curare la sceneggiatura insieme a Vecchio e Faenza. Tutta la scelta del cast è molto valida, partendo dal protagonista, Marcello Mastroianni, che ha saputo interpretare alla perfezione il ruolo di Pereira.
Roberto Faenza, partendo dal romanzo di Tabucchi, riprende il tema a lui caro della morte e della violenza che ogni regime dittatoriale porta con sé.

V – CONCLUSIONE:
Un libro estremamente interessante, tanto dal punto storico come letterario. Vengono trattati temi di spessore quali la morte, l’amore, la libertà, la coscienza e la violenza sotto i regimi dittatoriali. Si tratta di un romanzo esistenziale che ci permette di assistere al risveglio di un’anima. In una delle tante recensioni del romanzo ho letto che forse Pereira siamo un po’ tutti noi, ricordandoci che bisogna sempre trovare il la forza e il coraggio per esprimere le proprie convinzioni.
Ascolta un'intervista ad Antonio Tabucchi che parla di Sostiene Pereira: http://www.scrittoriperunanno.rai.it/scrittori.asp?videoId=116&currentId=8

domenica 14 febbraio 2010

Paolo Maldini

Il capitano rossonero contestato dagli ultrà

Maldini amaro: «Che brutto il silenzio del Milan»

«La società non si è ancora dissociata, pensavo che un suo atto pubblico fosse dovuto»


Paolo Maldini, quello che è accaduto domenica, in occa­sione del suo addio a San Si­ro, è davvero stupefacente.«In effetti. Uno pensa di ave­re visto tutto e invece...».

Amareggiato? «È stata una domenica sur­reale. Così bella all’inizio, con lo stadio pieno. Davvero stu­pendo. Poi però c’è stata quel­la bravata di 100-200 persone che non va sopravvalutata ma che non deve neppure passare sotto silenzio. Io ho sbagliato, ho offeso i contestatori con un gesto istintivo e tante parolac­ce. Me ne assumo la responsa­bilità. Però l’ho fatto per reagi­re contro una cosa organizza­ta, preparata e pensata senza che io potessi rispondere. Pur­troppo, questo è il calcio in Ita­lia ».

Lei non ha un grande fee­ling con gli ultrà.«È vero. Non ho mai cercato un rapporto con loro ma non l’ho fatto per snobismo. È che ho sempre puntato sulle mie forze, cercando di meritarmi tutto sul campo: il rispetto dei miei tifosi e quello del mondo del calcio. Per il cognome che porto mi sono sempre dovuto fare un mazzo così. Nessuno mi ha mai regalato niente».

Perché invece tanti calcia­tori hanno rapporti privile­giati con le curve?«Ti avvicini a loro perché ti senti più protetto. Ti fanno i cori a favore, ti fanno gli stri­scioni. Ma sa qual è stata la persona che ha rafforzato le mie convinzioni? Franco Bare­si. Mi ripeteva: fai tutto in cam­po, non cercare aiuti esterni. Ero capitano da 6 mesi e già mi contestavano: Maldini non sei degno di essere capitano».

Ma cos’è successo esatta­mente tra lei e gli ultrà?«Da quello che alcuni di lo­ro sono andati a dire in tv, io gli avrei dato dei pezzenti ma una parola del genere non ap­partiene al mio vocabolario. In tutti questi anni ci sono stati soltanto due motivi di frizio­ne. Nel 2005, di ritorno dalla fi­nale di Istanbul, all’aeroporto mi si avvicina uno di vent’an­ni e mi dice: ci dovete chiede­re scusa. Cosa? Io gioco da vent’anni e devo chiedere scu­sa a un ragazzino dopo una fi­nale perduta ma dominata sul piano dello spettacolo? Ma sia­mo matti?».

L’altro episodio? «Supercoppa europea di Montecarlo contro il Siviglia, nel 2007. In curva stavano tut­ti zitti, volevano picchiare chi provava a tifare. Non so cosa li spingesse a non tifare, se que­stioni economiche o di potere. Allora io, in un’intervista, dis­si: la squadra non è contenta, San Siro per il Milan è uno sta­dio magico ma sta perdendo la sua magia. Giancarlo, uno dei capi, dice che l’ho chiama­to per chiedere scusa ma non è vero: non ho neppure il suo numero di telefono. Abbiamo chiarito tutto un giorno: li ho incontrati per strada, è stato un confronto pacato».

Dopo quello che è succes­so non sarebbe il caso di un nuovo chiarimento?«Io sono a posto così. Non devo chiarire niente con nessu­no ».

Accetterebbe delle scuse? «Per carità. Le scuse non le voglio».

Quali sono i messaggi di solidarietà che le hanno fatto più piacere?«Esclusi quelli provenienti dal mio ambiente e dalla mia famiglia, e già facciamo un centinaio di persone, ne potrei citare tanti. Platini, che mi ha mandato una lettera bellissi­ma prima della partita; Frey, che mi ha detto che la festa me la fa lui domenica; De Biasi, un allenatore che conosco poco; Ciro Ferrara, che avrà avuto an­che i cavoli suoi; Fiorello, che è pure interista. E poi Stefano Borgonovo, Meneghin, Panca­ro, Javier Zanetti, Serena, Al­bertini... Comunque c’è un pa­radosso...».

E quale sarebbe? «Lo striscione affettuoso che mi ha dedicato la curva dell’Inter nell’ultimo derby e quello di domenica della cur­va del Milan».

Ma è vero che ha litigato con Leonardo?«Ridicolo. Lui mi ha detto in un orecchio di lasciare per­dere e io gli ho risposto che non ci pensavo nemmeno, che un uomo deve essere un uo­mo fino in fondo. Quando ci è stato riferito che secondo alcu­ni avremmo litigato, ci siamo messi a ridere».

Paolo, c’è ancora amarezza dentro di lei?«Devo dire che, pur essen­do passate più di 48 ore da quell'episodio, la società non ha ancora preso posizione. Il Milan avrebbe anche potuto dissociarsi e invece non l'ha fatto».

Chi sarebbe dovuto interve­nire? Berlusconi? Galliani? «Il presidente l'ho visto un minuto... Galliani gira con la scorta... Bastava un dirigente qualsiasi. Pensavo che una pre­sa di posizione pubblica fosse dovuta».


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